SENTENZA A SORPRESA

Tutte le volte che il Giudice rilevi una motivazione d’ufficio, (ossia non sollevata dalle parti del giudizio) ed in base ad essa ritenga di decidere la causa, è tenuto, preventivamente a rimettere la questione alle parti perche deducano in ordine alla questione sollevata. Tale obbligo è tanto cogente che la mancata osservanza dello stesso è suscettibile di provvedimento sanzionatorio sotto il profilo deontologico:

“La nuova formulazione dell’art. 84 cod. proc. civ., per effetto del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 12, nonchè l’introduzione dell’art. 101 cod. proc. civ., comma 2, ad opera della L. n. 69 del 2009, hanno definitivamente chiarito che il Giudice, il quale ritenga di decidere la lite in base ad una questione rilevata di ufficio, ha il dovere costituzionale di provocare il contraddittorio delle parti in ordine alla questione stessa al fine di evitare la “sentenza a sorpresa” o della “terza via” che viola la parità delle armi.

A seguito della riforma di cui alla L. n. 353 del 1990, l’introduzione del regime delle preclusioni ha reso ancor più stringente, per effetto delle scansioni temporali, questo obbligo del giudice (trasfuso prima nel terzo e ora nel quarto comma del medesimo articolo), indispensabilmente connesso alla conoscenza dei fatti di causa anche tramite la richiesta di chiarimenti, eventualmente in sede di libero interrogatorio. E’ questo il manifestarsi del principio di collaborazione tra giudice e parti, e non un innaturale esercizio dei poteri processuali, come pure ha temuto parte della dottrina che ha sorretto l’orientamento restrittivo.

Siffatto ordine concettuale – secondo cui, anche nel sistema antecedente alla novella dell’art. 384 cod. proc. civ. e all’introduzione della testuale sanzione di nullità di cui all’art. 101 cod. proc. civ., comma 2, il Giudice, il quale ritenga di decidere la lite in base ad una questione rilevata di ufficio, ha il dovere costituzionale di provocare il contraddittorio delle parti in ordine alla questione stessa (cfr. Cass. 31.10.2005, n 21108; 21.11.2001, n 14637 ed altre)”

4. Cassazione civile sez. III 07/11/2013 n. 25054

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